Rugby Spot Ignoranza

The slow one now will later be fast

Posts Tagged ‘Celtic League’

Italia, il rugby e il regime

Posted by Giorgio Pontico su 17 marzo 2010

Frederic Humbert sul suo blog Rugby Pioneers racconta il rugby dei primordi: un brodo primordiale in cui faceva la sua figura anche l’Italia. Agli inizi del ventesimo secolo sono ncora una volta sono gli inglesi residenti a Genova che importano lo sport nel Belpaese e, qualche anno più tardi, il regime fascista vi intravede un utile strumento di propaganda. “Il giuoco del rugby, sport da combattimento, deve essere praticato e largamente diffuso tra la gioventù fascista“, così scriveva Achille Starace, uno dei più convinti gerarchi fascisti durante il Ventennio. Basta eliminare “fascista” e sostituire “da combattimento” con “di formazione fisica e mentale” ed ecco che lo slogan resta ancora valido.

Al di là del credo politico, se il nostro rugby avesse iniziato a svilupparsi già a quell’epoca, invece di svegliarsi a metà degli anni ’80, forse oggi potremmo vantare una diversa autorevolezza ovale a livello sia nazionale che internazionale. Detta così è un’ovvietà, ma da quello che ho capito leggendo varie fonti le basi per fondare un movimento di tutto rispetto c’erano eccome mentre solo oggi, con il 6 Nazioni e l’imminente Celtic League, si guarda al di fuori della nicchia in cui l’ovale è stato riposto per decenni.

(Fonte Immagine:  Rugby-Pioneers)

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Italia, cucchiai di legno e Celtic League

Posted by Giorgio Pontico su 27 febbraio 2010

Una partita che ha avuto poco di entusiasmante (per i non italiani) quella vinta dall’Italia 16-12 sulla Scozia ma che, oltre ad evitare il terzo cucchiaio di legno consecutivo, ha un significato importante anche in chiave Celtic League, dove è proprio la federazione scozzese a non gradire l’ingresso delle franchigie italiane. E’ la terza vittoria italiana negli ultimi quattro incontri nel 6 Nazioni tra le due rappresentative: qualcosa dovrà pure significare. Certo ci vorrebbero confronti più frequenti anche a livello di club ma gli ultimi sorteggi delle coppe europee non ne hanno consentiti. Molto lucida l’analisi di Pablo Canavosio nel post partita: “Questo è un successo importante per tutto il movimento – ha dichiarato il mediano di mischia azzurro – soprattutto perché è la Scozia a non volerci in Celtic League. Oggi, sul campo, abbiamo dimostrato di valere quel torneo”.

Una conclusione positiva del torneo continentale (evitare una figuraccia con la Francia e tentare il colpaccio a Cardiff) potrebbe anche significare la conferma di Nick Mallett come commissario tecnico, il che ne farebbe il più longevo allenatore dell’Italia dai tempi di George Coste: i vari Johnstone, Kirwan e Berbizier non sono mai andati oltre le tre stagioni alla guida degli azzurri.

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Mischia è quando arbitro fischia

Posted by Giorgio Pontico su 11 gennaio 2010

Traduco un interessante articolo di Bryn Stephen uscito oggi su Planet Rugby. Vale la pena di leggere.

Mi piacerebbe dipingere un quadro per voi. Un giorno nella vita di un pilone. Noi sudiamo, sanguiniamo, lavoriamo sodo con l’obiettivo di garantire il possesso dell’ovale. E’ una delle nostre funzioni primarie.

In un articolo scritto tempo fa, ero preoccupato rispetto alle mischie e a ciò che sarebbero potute diventare nel mondo delle ELV  e del professionismo ai massimi livelli.

Ero preoccupato che la nuova regola del “tocco…ingaggio”, insieme al resto, avrebbe ridimensionato notevolmente la natura agonistica della mischia.

Se da una parte ritengo che il danno sia stato minimo (sicuramente inferiore a quanto temevo), dall’altra è comunque cambiato qualcosa: l’introduzione del pallone. Guardare l’ovale muoversi come una calamita verso i piedi del numero otto avversario è uno degli spettacoli più deprimenti per una prima linea che sta dando tutto in una mischia per quei fondamentali centimetri che darebbero al tallonatore la possibilità di contendere la palla.

Prima che ce ne accorgiamo l’ovale è già sparito e una nuova fase di gioco si sta sviluppando in giro per il campo, andando a finire solitamente con una nuova mischia per la quale non abbiamo alcuna speranza di vittoria.

Non si tratta necessariamente di un “qualcosa” che succede, noi prime linee conosciamo un paio di cosette che accadono li sotto e che nessuno vede… il fatto è che ciò (l’introduzione storta ndr) è cosi sfacciato e così costante.

Cercando un riferimento biblico vorrei citare “Regole” capitolo 20.6 versetto D:”Il mediano di mischia deve introdurre la palla esattamente al centro della mischia, in modo che tocchi il terreno immediatamente al di là delle spalle del pilone più vicino.

La prossima volta che guardate una partita, che sia Guinness Premiership, Super 14, Magners Leegue o persino la vostra squadra locale che gioca contro alcuni studenti nella Merit Table del Somerset, prestate attenzione alle mischie e tenete a mente tutte le volte in cui la palla è introdotta diritta. Rimarrei sbalordito se doveste utilizzare più di una mano per tenere il conto.

Quindi che motivo c’è ormai per fare le mischie? Nonostante ciò vengono concesse come ripartenze di gioco per moltissime infrazioni: sono quasi dei mini-calci liberi per punire piccoli errori di handling.

La mischia dovrebbe essere caratterizzata da una natura agonistica che permetta alla squadra che ha commesso l’errore di riottenere la palla, mettendoci qualcosa in più di una semplice “pezza”.

Avallando questo vizio delle “introduzioni storte” si nullifica il senso della mischia stessa. Quindi perché proseguire con questo scempio? Se non c’è possibilità di riconquistare il possesso perduto tanto vale che l’arbitro conceda calci liberi invece che la classica mischia, ma sicuramente questa soluzione equivale a volersi sbarazzare di una mosca fastidiosa prendendola a fucilate – un’esagerazione. E’ un confronto che DEVE esserci, altrimenti potremmo evitare di stressarci convertendoci al rugby league.

Ancora non comprendo per quale ragione questo fatto non sia mai stato evidenziato da arbitri e addetti ai lavori. Eppure tutto il clamore suscitato tempo fa dalla questione “breakdown” ha determinato la nascita di forum di discussione, la parentesi delle ELV e nuove direttive. Perché non accade la stessa cosa con la mania delle introduzioni storte? Facile: Brian Moore (ex internazionale inglese ora noto commentatore tv ndr) ha glissato sull’argomento tante di quelle volte che ora nessun cronista fa notare gesti simili.

Tuttavia lui stesso ha cambiato opinione con il passare del tempo. Una volta resosi conto del fenomeno ha finalmente iniziato a farsi sentire. Ora commenta con sarcasmo ogni introduzione storta “non vista” dall’arbitro: vuol dire chi scrive le leggi del gioco e chi è preposto a verificarne il rispetto si sono silenziosamente adeguati a questo modo farsesco di intendere questo particolare.

Sono per caso giunti ad un punto di non ritorno, facendo sì che si consolidasse una tradizione che ora non sembrano in grado di fermare per una qualche paura?

Sicuramente tutti ricordete l’episodio in cui Neil Back, durante la finale di Heineken Cup del 2002 tra Leicester e Munster, tallonò la palla con la mano strappandola letteralmente via a Peter Stringer. L’ho odiato per questo. In nessun modo ero in grado di spiegarmi come potesse un giocatore del suo calibro scendere a questi livelli.

Sapete, adesso inizio a rendermene conto. L’unico modo per vincere una mischia contro è agire illegalmente. So che molta gente chiederebbe la mia testa per pensarla in questo modo, ma vedere episodi del genere accadere sporadicamente non è così triste come vedere ogni settimana l’ovale che rotola beato direttamente in seconda linea.

Mi piace il combattimento proprio della prima linea. Mi piace combattere quando gioco lì. Sapere di aver svolto il mio compito come si deve mi da’ più soddisfazione se riusciamo a vincere una mischia con introduzione avversaria: ha tutto un altro sapore.

Cosa si può fare per ovviare a ciò? E’ semplice. Arbitri: fate qualcosa! Sono consapevole della pressione che dovete sopportare stando sotto i riflettori, con allenatori e tifosi pronti a farvi notare più o meno educatamente le loro opinioni. Ma è facile se ci si pensa a fondo.

Indicate il punto e la linea per l’amore del cielo! Persino i giudici di linea potrebbero farlo se si trovassero in una posizione adeguata, specialmente adesso che sono stati rinominati come assistenti dell’arbitro.

Temo che se non lo facciate, l’IRB non ci penserà due volte a sacrificare le mischie per dei calci di seconda. Sarebbe la fine per civilità come la conosciamo oggi.

Bryn Stephen (tradotto da Giorgio Pontico)

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Letargo ovale

Posted by Giorgio Pontico su 17 dicembre 2009

C’è poco di interessante da scrivere in questi giorni. Il Super 10 è sempre inguardabile e le italiane in coppa vengono malmenate regolarmente. Il progetto Celtic League va avanti senza una direzione ben precisa. Pare che il rugby toscano abbia però avuto l’idea geniale di incentrare tutto a Firenze, dove sorgerà il futuro superclub, in un’ottica “uno per tutti, tutti per uno”. Non male. Intanto proseguono i tornei seven in giro per il mondo. La tappa di George in Sudafrica ha visto Todd Clever, flanker dei Golden Lions e della nazionale USA, prodigarsi in una straordinaria acrobazia che ricorda un po’ il salto in alto in epoca pre-fosbury.

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Di rugby, di forum e di pari diritti

Posted by Giorgio Pontico su 7 ottobre 2009

Postando su Rugby.it mi è scappato questo

La FIR investe risorse preziose per sostenere il rugby d’eccellenza (vedi ingresso nel 6N e Celtic League) mentre lascia indietro la base del movimento. Penso che ormai sia evidente.

Perché si fanno consigli straordinari per la Celtic e la Serie C viene lasciata a se stessa? C’è una disparità enorme tra nord e sud purtroppo. Non mi stancherò mai di dire che i 5 gironi lombardi sono pronti dalla fine di agosto, mentre qui nel Lazio per sapere chi gioca e dove dobbiamo attendere il mercoledì precedente la prima di campionato.

L’Italia perderà sempre il confronto con le altre realtà ovali: è una lotta impari non solo a livello di nazionali. Perdiamo sotto il profilo organizzativo e quello amministrativo. Siamo indietro nella pianificazione, non curiamo l’immagine del nostro sport permettendo che esso venga infangato dal primo pennivendolo ignorante che si ritrova a scrivere sulla rosea o cartaccia simile. Una federazione deve sapersi conquistare un peso politico anche e sopratutto all’interno del suo paese: non ha importanza che Dondi occupi un seggio all’IRB (e anche qui ci sarebbe da discutere ma vabbè…) se poi in Italia lo prendono a pesci in faccia.

Mi si dice che sono troppo giovane e che non avendo visto il rugby di vent’anni fa non riesco ad apprezzare quello che c’è adesso. Io rispondo che a 22 anni non ci si deve accontentare, mai.

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Nunzio vobis gaudium magnum… habemus girones!

Posted by Giorgio Pontico su 2 ottobre 2009

Sono arrivati i gironi!

Dopo settimane intere di confronto il Comitato ha reso noti i due gironi regionali della Serie C laziale quando manca poco più di una settimana all’inizio del campionato. Mi ero già espresso sulle modalità di gestione del rugby amatoriale/regionale e il fatto che nonostante abbiano effettuato la divisione in due gruppi non giustifica l’assenza del calendario, sopratutto nel caso di squadre come Ariccia che rischiano di dover affrontare trasferte fino a Civita Castellana e Oriolo Romano e che hanno bisogno di organizzarsi.

Non è un buon momento per il rugby laziale, la Rugby Roma arranca in campionato e i Pretorians sono al centro del ciclone Celtic League: il Nord gli preferirebbe Treviso e pertanto la FIR ha rimesso in discussione un caso che sembrava chiuso mesi fa.

Indipendentemente dai meriti storici il rugby non può rimanere confinato nel magico Nordest.

Sviluppo, pianificazione, crescita, espansione. Termini che non compaiono sul dizionario rugbystico italiano.

Update – Che avevo detto? La FIR si tira indietro e candida Treviso. Non è detta l’ultima parola, i celti difficilmente inghiottiranno il rospo.

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L’estate calda del rugby

Posted by Giorgio Pontico su 26 agosto 2009

Sembra che il rugby abbia intrapreso un percorso alquanto difficile in un sentiero oscuro. Partendo dall’Inghilterra, dove alla squalifica di Matt Stevens per cocaina sono spuntati i casi del Trio di Bath e quello, scandaloso, del falso infortunio con cui gli Harlequins avevano tentato, invano, di risolvere un match ufficiale. Anche l’emisfero sud ha avuto la sua dose di guai, con il Sudafrica che ha messo in discussione la trasparenza dell’IRB e che è stato punito con un semplice buffetto.

Di buono c’è stato un ulteriore avanzamento nel cammino che dovrebbe sancire il ritorno del rugby alle olimpiadi. Se dovesse succedere gli Stati Uniti, attuali campioni in carica, difficilmente manterranno il titolo.

In Italia la questione Celtic League ha dimostrato la pochezza del nostro movimento ed  in particolare di quei soggetti che per anni ne sono stati il traino, o forse il freno.

Di buono c’è che, nonostante la crisi, a rugby si continua a giocare a tutti i livelli. Che poi sia proprio l’attico ovale ad essere invischiato nelle faccende più sporche poco importa: la base rimane solida.

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Roma capoccia di legno

Posted by Giorgio Pontico su 25 luglio 2009

Roma è scomoda, in tutti i sensi: è uno dei fuochi dell’ellittica dell’ovale italiano ma non è quello principale. A Roma il rugby si gioca dagli anni ’30 circa: un lasso di tempo sufficiente per conferire alla Capitale un minimo di autorità rugbystica. Tuttavia il rugby a Roma da troppo viene gestito, parafrasando un grande allenatore di calcio, ad mentula canis.

Il rugby a Roma è sport d’elité, ma non si tratta di spessore intellettuale bensì di conti in banca gonfi e di cognomi altisonanti che non staccheranno mai le proprie grinfie dal tesoro Celtic League. Unioni, scissioni e rifondazioni significano poco o nulla se a maneggiare i fili restano gli stessi burattinai.

A Treviso sarebbe bastato così poco per mettere da parte gli antagonismi storici e risparmiare ai romani l’ennesima umiliazione: un accordo con Rovigo o Venezia, meglio entrambe, non avrebbe avuto problemi a vincere quella pseudo gara d’appalto che è stato il consiglio federale del 18 luglio.

E’ inverosimile che i capi della Celtic possana, ma soprattutto vogliano ribaltare la decisione della FIR, ormai sempre più simile ad un cavallo imbizzarrito che scalcia.

Pochi giorni fa Dondi, in un intervista rilasciata al Velino, aveva dichiarato che presto Roma sarebbe stata sostituita come sede casalinga dell’Italia nel 6Nations. Subito era arrivata la smentita ma intanto in molti già esultavano, dimostrando di ignorare il regolamento dell’ente che gestisce il torneo, dando sfoggio di un campanilismo smaccatamente italiano.

Roma non è perfetta, anzi. Il Flaminio è inadeguato, non solo per ciò che riguarda la capienza, ma anche a livello strutturale. L’organizzazione funziona a malapena ma sinceramente, dopo essere stato a Twickenham, non c’è confronto.

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Roma ladrona andò per derubare…

Posted by Giorgio Pontico su 21 luglio 2009

…e rimase in mutande.

Aironi e Pretorians in Celtic. Sicuri? Il presidente federale Dondi non sembra esserlo affatto: nel comunicato apparso questa sera sul sito ufficiale della FIR si legge che “Il Presidente della Federazione Italiana Rugby Giancarlo Dondi, a seguito delle obiezioni mosse dalle entità sportive che hanno visto respinte le proprie richieste di partecipazione alla Magners Celtic League, ha dato mandato ai legali della Federazione al fine di verificare la correttezza e la legittimità della procedura seguita nel processo di valutazione delle candidature“.

Cosa vuol dire? Brogli elettorali in perfetto stile iraniano? Ci sarebbe da capire da chi è interpretata la parte di Mousavi? prima di sparare ad alzo zero: Dondi, Treviso o forse addirittura Roma, colpevole di aver presentato un progetto valido per la Celtic e che starebbe addirittura perdendo il proprio status di sede casalinga del 6Nations.

In ogni caso si tratta di grandi manovre per la FIR, che dopo anni di nulla assoluto mette finalmente sul tavolo i suoi piani geniali: togliere il 6Nations a Roma e ripetere le operazioni di voto per le franchigie italiane che parteciperanno alla Celtic. Voilà, il gioco è fatto e i detentori delle sacre reliquie ovali sono soddisfatti.

Come fa giustamente notare Duccio Fumero su Rugby1823 c’è del marcio in Federazione, ovunque si annidino le responsabilità. Forse Celtic League significa veramente cambiare tutto perché non cambi nulla.

Un paio di appunti per i vertici federali:1) non sarà il consiglio federale a decidere quali saranno le rappresentative italiane in Celtic, ma deciderà il board del torneo stesso;2) l’idea di togliere il 6Nations da Roma, per quanto siano giuste le critiche all’organizzazione, è completamente campata per aria, una toppa come spiega Christian Marchetti. Ci sono in ballo diritti televisivi, l’organizzazione del torneo, sponsorizzazioni varie e la ragione principale per cui il Flaminio si riempie, ovvero l’attrattiva turistica della Capitale.

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Celtic: la FIR indica Roma e Viadana

Posted by Giorgio Pontico su 19 luglio 2009

La FIR non ha scelto né escluso nessuno: ha semplicemente chiarito quali siano le candidate favorite. La palla deve ancora passare per il board della Celtic League, la quale ha l’ultima parola in merito all’entrata dell’Italia nel campionato/calderone.

Treviso potrebbe essere a tutti gli effetti la grande esclusa della situazione, nonostante le voci che circolavano. Il Veneto rischia di ritrovarsi senza rappresentanti degni della sua storia ovale: ben venga.

Se il rugby italiano vuole veramente compiere il tanto atteso salto di qualità deve abbattere tutti gli steccati territoriali che fino ad oggi hanno caratterizzato l’interno movimento: non più Treviso, Venezia, Rovigo ma Veneto. Basta con le due parmensi, Noceto, Viadana, Colorno, basta con i campanilismi. Basta anche con Lazio, Rugby Roma, Capitolina e le tante altre piccole realtà romane.

In Irlanda e Nuova Zelanda l’avvento delle franchigie non ha cancellato i club. La contesa per il  Ranfurly Shield continua ad essere per i neozelandesi uno degli appuntamenti ovali più sentiti ed attesi. Vogliamo parlare poi della Currie Cup?

Quali risultati ha prodotto invece il rugby campanile in Italia? Siamo entrati nel 6Nations per merito (ma anche e soprattutto per motivi economici) e poi? Il nulla cosmico. Squadre imbottite di stranieri mediocri (unica eccezione Viadana) che in Europa prendono schiaffi a destra e a manca; inutili e controproducenti rivalità come quelle fortemente radicate in Veneto (Treviso, Rovigo, Padova, Venezia, San Donà e chi più ne ha più ne metta).

La svolta potrebbe essere dietro l’angolo. Per decenni il rugby è stato appannaggio di poche regioni elette: era ora che finisse. Anche il Sud ha diritto ai palcoscenici che per anni sono stati occupati, senza troppo successo, dalle storiche squadre del nord.

Perché il rugby italiano non se ne fa nulla del dualismo Padova-Treviso, se poi la prima perde in Challenge Cup contro il Bucuresti mentre la seconda va in giro per l’Europa a fare pessime figure.

I dirigenti della Celtic sceglieranno le franchigie dalle quali pensano di riuscire a spremere più soldi come incassi per partite e diritti televisivi: Roma ha il vantaggio del marchio mentre Viadana e suoi aironi hanno la struttura e la mentalità più anglosassone che ci sia in Italia. Treviso voleva fare tutto da sola, voleva tenersi stretti i soldi dei Benetton e proporsi come ambasciatrice del rugby italiano. Niente di più sbagliato.

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