Stavo riguardando le foto della mia escursione in Nuova Zelanda e mi è venuto in mente che avrei dovuto scrivere qualcosa rispetto a quel poco di rugby che ho visto laggiù. Sfortuna infatti volle che nella regione di Auckland non si giocasse alcun match della Air New Zealand Cup, la vecchia NPC.
Nel tentativo di trovare una via d’accesso per arrivare sulla cima di Mt.Victoria, a Devonport, mi sono imbattuto in quella che sembrava essere una partita di minirugby. I ragazzini non avranno avuto più di 10 anni: come i loro pari età italiani anche questi avevano due gambe, due braccia, una testa e tanta voglia di divertirsi.
Eppure qualcosa di diverso c’era. Qualcosa che ai nostri pargoli nessuno sembra in grado di insegnare: il killer instinct. Se puoi segnare una meta la fai. Non cerchi la precisione nel passaggio, non ti perdi nel gesto tecnico fine a sé stesso. Ce lo aveva detto anche Giampiero Granatelli al corso allenatori. Aveva ragione.
Di buono c’è che la FIR sembra essere consapevole di questo problema che colpisce il nostro rugby direttamente alle radici. Siamo indietro di almeno 7-8 anni rispetto alle nazionali di vertice. Il movimento di base si regge sui vecchi valori del rugby amatoriale ed è stritolato dalla burocrazia.
In Inghilterra per svolgere un campionato equivalente alla nostra serie C è sufficiente registrare la squadra presso la Union locale, che poi organizza i campionati e fornisce gli arbitri. Non sono richiesti cartellini o visite mediche. La responsabilità è del giocatore fino a quando non si arriva alle categorie di professionisti.
D’altronde nessuno mi impedisce di giocare a calcetto con gli amici, perché dovrebbe accadere con il rugby? Stiamo indietro anche sotto questo punto di vista.
Permettiamo alle squadre di Super 10 e Serie A di imbottirsi di stranieri di dubbio valore, mentre in Serie C un muratore moldavo non può giocare a meno che non sia il 22esimo in lista. C’è qualcosa che non va, ma qui la Federazione sembra essere sorda.
E’ un movimento giovane, di belle speranze, ma terribilmente mal gestito quello italiano. Se alla diffidenza con cui ci guarda la stampa calciofila sportiva aggiungiamo questi errori banali, dettati dall’ingenuità, non faremo altro che renderci ridicoli. Si vada quindi alla RFU o alla NZRU e si prendano appunti. Si eviti magari la ARU, perché non sono capaci neanche di organizzare un campionato nazionale senza che diventi controproducente dal punto di vista economico.