Rugby Spot Ignoranza

The slow one now will later be fast

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Welcome, Sir Ian

Posted by Giorgio Pontico su 3 gennaio 2010

Il 2010 si aperto con alcune partite di Guinness Premiership ma soprattutto con la nomina baronetto di Ian McGeechan, allenatore ed ex giocatore scozzese: una figura la cui grandezza ovale ha oltrepassato da tempo il Vallo di Adriano.

Dopo l’esordio con la Scozia nel 1972, il mediano di apertura nato a Headingley nel 1946, ha preso parte come giocatore ai tour dei Lions del 1974 e del 1977.

Conclusa la carriera sul campo Geech non ha più abbandonato l’ambiente della selezione britannica, guidandola come Head Coach dal 1989 al 2009, a parte il 2001 quando venne sostituito da Graham Henry.

Nonostante l’insuccesso maturato nella recente spedizione sudafricana, l’impegno profuso in più di 40 anni di rugby gli è valso comunque il titolo di Officer of the British Empire.

Celebri sono ancora oggi i suoi discorsi pre-partita di cui riporto un esempio del 1997, fatto alla squadra poche ore prima dell’inizio del secondo test match contro il Sudafrica.

12 anni dopo nulla è cambiato: nonostante la serie saldamente in mani ai padroni di casa sudafricani, i Lions hanno reagito con orgoglio vincendo il terzo test ed evitando così la ripetizione della figuraccia patita 4 anni prima in Nuova Zelanda.

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IRB vs SARFU

Posted by Giorgio Pontico su 14 luglio 2009

Era nell’aria da qualche giorno ma adesso ha assunto una forma ufficiale: La federazione sudafricana non la passerà liscia. Il capitano John Smit sarebbe responsabile quanto la SARFU per quanto accaduto nell’ultimo test con i Lions britannici. Smit si era recentemente posto a difesa del suo coach Pieter De Villiers, accusando i media di approfittare dell’inesperienza dell’allenatore a trattare con la stampa.

Per ora non è dato sapere di quale natura saranno i provvedimenti presi dal Judicial Panel Chairman dell’IRB: il Sudafrica è candidato, come del resto l’Italia, ad ospitare la RWC nel 2015 o nel 2019, e forse il giudice potrebbe puntare proprio su questo fattore. E’ invece completamente da escludere l’esclusione degli Springbok dal Trinations: l’organizzazione e la cessione dei diritti televisivi del torneo sono gestiti dal SANZAR, organismo indipendente dall’IRB.

Tuttavia la questione che rischia di prendere piede, compromettendo in qualche modo l’equilibrio del mondo ovale, è quella del rispetto verso gli enti che gestiscono il rugby, in questo caso l’IRB. La sceneggiata sudafricana infatti non è stata solo una boutade messa in atto dai giocatori della nazionale gialloverde: si è trattato di un colpo all’autorità dell’International Rugby Board. Un colpo che è stato assestato non solo dai nazionali, ma anche dal coach, dal presidente federale, dai tifosi: insomma tutto il movimento dell’ex Colonia del Capo si è scagliato contro il principio dell’inviolabilità dell’arbitro.

Evidentemente la grazia fatta a Schalk Burger (8 settimane di squalifica per eye-gouging deliberato) non è bastata ai tifosi saffer.

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Il mondo (ovale) a metà

Posted by Giorgio Pontico su 5 luglio 2009

Ogni anno, quando è tempo di Test Match, ritorna in auge la diatriba sulla presunta superiorità ovale dell’emisfero sud. All Blacks, Wallabies e Springbock, durante i mesi di Giugno e Novembre si scontrano con le realtà provenienti da sopra l’equatore, ultimamente concedendo poca gloria agli europei.

Già dal 1905, quando gli Originals (i precursori degli All Blacks) visitarono i Regno Unito uscendone imbattuti, gli scontri tra gli ex coloni e la corona britannica avevano assunto un carattere che trascendeva il mero senso sportivo della vicenda: era ed è ancora una questione storico-sociale. Inculcare nella testa del colono britannico la consapevolezza della fine dell’Impero Vittoriano. L’indipendenza dagli odiati oppressori.

Non è altro che un desiderio ancestrale traslato sul campo da rugby, il cui senso nel 2009 potrebbe facilmente sfuggire ai non anglosassoni.

Nonostante ciò da anni assistiamo impotenti al massacro delle formazioni del nord da parte di quelle del sud. Così è sempre stato anche in occasione delle varie edizioni della Coppa del Mondo, ma l’anno del vero tracollo, quello psicologico, è stato il 2005. Chi fu il “Generale Custer” della situazione? Sir Clive Woodward, un allenatore che probabilmente spinto dalla smania di successo ha armato, fra giocatori e staff, un intero esercito per andare alla conquista della Nuova Zelanda.

Era il tour dei Lions. Il gotha del rugby europeo era pronto a muovere guerra agli All Blacks ma quello che rimediarono non fu altro che un serie di tre sonore sconfitte, intervallate da quella con i New Zealand Maori.

L’umiliazione subita da quella che sembrava, almeno sulla carta, una squadra imbattibile (i Lions sembrano sempre imbattibili) ha cancellato ogni ostacolo emotivo: il mondo si era diviso in due ovali differenti, quello del nord, potente e tattico, e quello del sud, veloce e iper-tecnico.

Chi gioca meglio? Quale spettacolo vale il biglietto? Sembra una parafrasi dello scisma tra Union e League.

La situazione odierna è più o meno la stessa: il gioco sta attraversando una crisi d’identità. Un anno di regole sperimentali (le ELVs) ha messo in luce tutte le sue vulnerabilità.

Negare il maul come strumento offensivo ha fatto alzare diverse sopracciglia. Legittimarne il crollo aveva rappresentato un atto folle, comparabile nel mondo reale solo alla depenalizzazione dell’omicidio colposo.

Fortunatamente l’International Rugby Board, organismo regolatore del Rugby a XV, è tornato sui suoi passi, ringraziando gli scienziati di Stellenbosch per lo sforzo profuso nel creare queste “nuove regole”, dirottando il gioco da vicolo cieco in cui si era inoltrato.

Le federazioni del sud, in particolare quella Australiana, vorrebbero sperimentare ancora per rendere il rugby uno spettacolo ancora più televisivo di quanto già non sia. La Nuova Zelanda sembra abbastanza d’accordo con i cugini al di là del Mare di Tasman ma un ruolo chiave potrebbe essere giocato dai dirigenti sudafricani: il Sudafrica potrebbe lasciare il SANZAR, organo sportivo/politico del rugby sudista, determinandone lo scioglimento. Se ciò dovesse veramente accadere è probabile che australiani e neozelandesi dovranno rivedere nettamente le proprie strategie per il futuro dei rispettivi movimenti.

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British&Irish Lions 2009

Posted by Giorgio Pontico su 5 luglio 2009

Come quattro anni fa i Bitish&Irish Lions tornano a casa perdenti, con la consapevolezza che ci vorranno altri dodici anni per poter replicare al Sudafrica campione del mondo.

Stavolta però si è chiuso in bellezza. A differenza di quanto accaduto durante la disastrosa tournèe in Nuova Zelanda il corpo di spedizione capeggiato da Ian McGeechan ha strappato la vittoria nel terzo test. Dopo aver perso i primi due.

Un bottino senz’altro migliore di quello raccolto da Sir Clive Woodward nel 2005, che oltre a perdere le tre partite con gli All Blacks concesse la vittoria persino alla selezione dei New Zealand Maori.

Per la costruzione della squadra McGeechan ha ovviamente tenuto conto dello stato di forma dell’Irlanda vincitrice del 6 Nations 2009. Ne è la dimostrazione la nomina di Paul O’Connell a capitano, il posto di secondo centro riservato a Brian O’Driscoll come del resto il triangolo difensivo dove hanno figurato quasi sempre i vari Luke Fitzgerald, Rob Kearney e Tommy Bowe.

Poco importa se gli strascichi della stagione regolare hanno impedito a giocatori come Shanklin e O’Leary di partire per il Sudafrica. Ci sono state belle sorprese e ottime conferme: il gallese Jamie Roberts si è dimostrato un primo centro di grande livello così come Keith Earls, del Muster, dopo un inizio disastroso ha saputo imporre la propria classe.

Dopo la disfatta neozelandese Woodward venne accusato di nepotismo nei confronti dei “suoi” inglesi, lasciando da parte il fulcro del Galles che aveva ottenuto il Grande Slam, puntando su un Johnny Wilkinson pericolante al quale erano stati affiancati molti suoi compagni reduci dalla vittoria nel mondiale 2003.

McGeechan è riuscito a trovare l’alchimia giusta: non ha portato in Sudafrica una legione di giocatori (nel 2005 furono selezionati in 45) ma un mix equilibrato di esperienza (O’Connell, Vickery, O’Driscoll e soprattutto Simon Shaw) ed entusiasmo giovanile (Earls e Kearney).

Sembrava tutto calcolato alla perfezione. Gestire un gruppo così eterogeneo di giocatori non è un compito facile. E’ vero che si tratta pur sempre di professionisti ma il marchio di fabbrica rimane: si è Lions  dopo essere inglesi, scozzesi, irlandesi e gallesi. Oppure neozelandesi come nel caso di Ricky Flutey, mediano di mischia nelle giovanili dei tuttineri convocato con la nazionale inglese in virtù dei tre anni di residenza in terra d’Albine.

Il primo match di avvicinamento contro Highveld Royal XV ha posto in evidenza il diverso approccio alla gara da parte delle squadre dell’emisfero sud. Nonostante la superiorità nei mezzi tecnici e fisici i Lions hanno dovuto faticare contro un gruppo di giocatori sudafricani tutt’altro che di livello internazionale: l’esperienza nel Super 14 ha fatto sì che per un buona parte del match i leoni britannici si siano trovati addirittura sotto nel punteggio, prima di riportare sulla terra i pur coraggiosi sudafricani.

L’evoluzione del gioco si è verificata nei midweek match successivi: un lento ma costante miglioramento. Il gioco si faceva via via più consapevole e deciso e la squadra sembrava pronta per Durban, sede prescelta per il primo scontro con gli Springboks.

L’incontro, pur terminando a favore dei padroni di casa, ha messo in evidenza pregi e difetti dei Lions. Da una parte l’efficacia di Tom Croft, chiamato in squadra in seguito alla squalifica di Quinlan, cui ha fatto da contraltare la pessima prestazione del pilone Phil Vickery, ammansito dal diretto avversario Tendai Mtawarira. Per non parlare delle due mete letteralmente “mangiate” da Ugo Monye.

E’ nel secondo incontro, quello svoltosi a Pretoria, che i rossi spingono realmente sull’acceleratore: Stephen Jones si dimostra la migliore apertura disponibile e orchestra abilmente i suoi trequarti. Nonostante la meta fulminante dell’estremo irlandese Kearney e la perfetta prestazione al piede di Jones i Lions devono soccombere una seconda volta, tramortiti dal ritorno degli uomini di Pieter De Villiers. Uomo del match in questo caso il giovane mediano d’apertura dei Bulls, Mornè Steyn: un piazzato calciato da più di 50 metri di distanza tramuta una partita estenuante, che sembrava destinata al pareggio, nella rivincita che lava una volta per tutto l’onta subita dodici anni fa.

Nel finale la musica cambia. Per il test di Johannesburg De Villiers deve fare a meno degli squalificati Burger e Botha e concede spazio ai rincalzi, risparmiando le energie per l’imminente Trinations. Dall’altra parte vi è la squadra dei Lions a pezzi, gli infortuni hanno decimato la prima linea. Per la seconda volta consecutiva Brian O’Driscoll si ritrova a dover concludere anzitempo la sua avventura Lions.

Vincono e convincono i Lions, salvano la faccia scongiurando il pericolo del secondo whitewash consecutivo. O’Connell e compagni sconfiggono un Sudafrica forse troppo sicuro dei propri mezzi e che ha tenuto in panchina gli elementi migliori. 28 a 9. La faccia è salva e Ian McGeechan afferma con tranquillità che la sua avventura con B&I Lions si conclude qui, dopo 35 anni nei quali ha contribuito come giocatore prima e allenatore poi.

Si è perso, è vero, ma il rugby dell’emisfero nord ha dimostrato di non avere nulla da imparare dai cugini downunder. E i mondiali del 2011 in Nuova Zelanda sono sempre più vicini. Per i rivedere in campo i Lions dovremo invece aspettare il 2013, quando sfideranno l’Australia.

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